E anche:
Proud To Be a Dinosaur
E qui, abbiamo una premessa seriosa.
Per la gioia di chi invece voleva leggere qualcosa di buffo e magari, se andava bene, regalarsi un mezzo sorriso.
E invece, prima, si becca una che approfitta ignominiosamente della situazione e parla di...
...di treni.
Per raccontare che qui, qualche anno fa, c’era una linea ferroviaria. Piccolissima, poi caduta sotto la scure che ha tagliato i cosiddetti rami secchi.
Trenini da nulla: vecchie automotrici, neanche elettrificate, che avevano conosciuto tempi migliori finchè, sulla soglia di un meritato pensionamento, erano state trasferite sul nostro ramo ferroviario di serie Z, eternamente in odore di secchità. Negli ultimi tempi erano molto malconci. Lottatori stanchi con cicatrici di ordinarie scene di strisciante guerriglia urbana, che portavano qui, in provincia, i primi segni di una corsa allo sfacelo che in queste zone allora non era ancora arrivata e ci illudevamo non sarebbe arrivata mai. Sulle loro fiancate erano passati i writers, e fossero almeno stati di quelli bravi. No: a treno sfigato, writer sfigato. Uno che non riuscirebbe a disegnare una greca con le paperelle seguendo i quadretti. E pertanto si limita ad arricchire i finestrini con quattro rigacce alla cavolo con la bomboletta del nero; e poi via a fare altri danni. I sedili rotti, tagliati, feriti, che mostavano le viscere dell’imbottitura. Roba che salivi e non sapevi se sederti o andare a fare un “pat! pat!” di incoraggiamento su una ruota.
Per inciso, come era già tutto diverso da quando, da piccola, il mio nonnino mi portava a vedere arrivare i treni.
E qui, ci scappa la parentesi nella parentesi (rassegnatevi: oggi, gira così).
Mio nonno. Immaginate il classico nonno DOC, quello che tutti avremmo voluto. Ma non i nonni di adesso. Non quelli con tessera della palestra con su segnate cose come 8 serie da 20 di Abdominal-Killer XX-Hard Iron Crunch, 24 ore su 24 connessi con il mondo grazie all' I-Pod ultimo modello Humanoid Enterprise Limited Edition a comandi telepatici, assemblato seguendo istruzioni olografe di Steve Jobs, da un artigiano orafo precedentemente purificatosi con una settimana di meditazione e digiuno in un monastero zen, connessione a 20 strabiliardi di giga e per wallpaper un autentico frammento di affresco staccato dal soffitto della Cappella Sistina, profilo figo su FacciaBucco, capelli tinti biondo scuro 8.2-ma-fammeli-più-sul-cenere-che-l’ultima-volta-al-sole-mi-davano-un-po'-sul-giallo e moglie piantata di fresco per stangona bionda vagamente maggiorenne proveniente da un qualche stato estero che fino al giorno prima di conoscerla non avrebbero saputo localizzare sulla cartina.
E forse neanche adesso.
Resettate questo concetto di “nonno”, per favore. E poi andate a cercare, nella memoria, l’immagine di un uomo magro magro.
Alto.
Vestito di scuro.
Anziano – anche se, pensandoci adesso, non lo era: la vita non gli ha concesso di diventarlo. Ma allora, sembrava. Immaginate un viso sempre sorridente. Immaginate un cuore rimasto candido e irrimediabilmente giocherellone, a dispetto di due guerre attraversate e molte delusioni, anche da presunti amici. Burlone. Ma di queglli scherzi candidi, nati da un sorriso dentro. Negli anni '50, in eterna competizione con il vicino di casa per chi avesse l'orto più rigoglioso e le verdure più precoci, una mattina lo aveva sorpreso con dei pomodori maturati in modo sorprendente, così, dalla notte alla mattina. Di fronte a tanta pomodoresca superiorità il vicino aveva riconosciuto l'orticola sconfitta: quel giorno non c'era gara, il trionfo era troppo schiacciante. "Munsù ***, l'è propri ver: sun propi bei!".
Belli, sì. Non ancora proprio da raccogliere, però. Piuttosto, di arancio chiaro, ma intenso.
Come faccio a saperlo, se non ero ancora nata?
Insomma... non è che il colore della vernice antiruggine sia cambiato tanto, negli anni.
Il tipo di nonno che sapeva mettere insieme un pupazzo con un pezzo di ferro ed un tappo di sughero e poi ci inventava sopra tanti racconti buffi e bellissimi, finchè diventava il giocattolo più bello del mondo. E mille altre piccole attenzioni, tenerezze quasi impercettibili. Chissà: forse lo avete avuto anche voi, un nonno così... Immaginate l’essenza della nonnità. Ci siete?
Ecco: è lui.
Contrariamente a ciò che può sembrare leggendo queste righe, non era un secolo fa. A tavola gli adulti non commentavano le ultime notizie su quel giovane spericolato ma promettente –come si chiama? Garrobaldo, Cari Baldi; qualcosa così- di cui il cugino Olindo ha scritto con il piccione di giovedì scorso, che tra parentesi era tenerissimo: un po' di erbette, un contornino di verdure ed è venuto una galuperia.
Il piccione, non lo zio Olindo.
Che anzi è ancora là che guarda il cielo pensando "Apperò quanto ci mette Poldino questa volta".
Sì, il fuoco e la ruota erano già stati scoperti e no, per spostarci non avevamo il dinosauro Full Optional - esterni in Vera Squama parcheggiato in giardino.
Volerlo, avremmo anche voluto.
Ma costava troppo.
In ogni caso.
In ogni caso oggi, all’età in cui io stavo incantata a vedere il treno sbucare dalla curva in lontananza e poi diventare grande grande grande, il bambino medio ha già sfracellato un centinaio di nemici sulla Nintendo, e strilla come un'aquila con l'otite per avere il nuovo Mortal Kombat Sparatutto Killer 3.0 implementabile 3 D con effetti sonori rinnovati Apocalyptic Effect.
Io quando il mio nonnino metteva la monetina nella macchinetta e mi lasciava premere il pulsante che faceva venir giù una di quelle palline trasparenti con dentro un brutto anellino patacca di plastica gialla tornavo a casa camminando a dieci centimetri da terra, per l’evento bellissimo che rendeva speciale la mattina, e illuminava la giornata intera.
Boh. Sono all’antica, evidentemente. Va a finire che il dinosauro c’è davvero. Dentro. Dinosauro Inside, yeah. "Tocca a lei?" "Sì. Una tanica di crema antirughe per l'anima, grazie". Ma non cambierei i miei cinque anni con quelli di oggi. Tiè.
Comunque.
Comunque adesso vediamo di arrivare al tema principale, che è mezz’ora che vi meno il can per l'aia e non lo si è ancora visto neanche mettere fuori il capino lontano in fondo alla curva come il trenino buonanima.
***
Sei o sette anni fa. Vi devo ancora dire -nooo, dai; non fate così! Poi l'episodio arriva, eh- che avevamo anche una stazione, che però era ormai stata chiusa. Piccola piccola, con quattro o cinque binari.
Stavo per prendere il treno e dovevo obliterare il biglietto. Qui, fermo immagine: ragazzuola pseudobionda, esilina, pallidina; aspetto e modi che avrebbero voluto apparire tra il garbato ed il sognante.
Invece più che altro risultavano sbadati ed alquanto idioti; ma di questo vi renderete conto in seguito.
Play.
La suddetta che entra dal cancelletto laterale, aggirando la stazione chiusa e poi, già dal lato binari, va all'obliteratrice e introduce il biglietto.
Niente.
Obliteratrice defunta (Non biglietti ma opere di bene. I ferrovieri commossi ringraziano).
Vabbè: ce n'è un'altra, all'esterno della stazione. Tanto, sono in anticipo. E mi avvio a fare il giro dell'edificio.
A qualche metro di distanza, oltre i binari, una dozzina di persone stanno aspettando il treno. Tra questi un tipo, che provvisoriamente definiremo "pittoresco".
Che comincia a gesticolare verso di me e gridare.
"UUUUUHH! NOOOOOOO! E' DENTRO! NON FUORI, NOOOOOO! DENTROOOOOO! OOOOOHHH!"
intendendo con ciò rendermi edotta, con enfasi degna di miglior causa, del fatto che all'interno della sala d'aspetto trovasi altra obliteratrice, più prossima alla mia attuale collocazione e pertanto logisticamente preferibile.
Ora, si dà il caso che:
1) Non so voi, ma io sono poco portata a socializzare con tizi sconosciuti che mi forniscono reiterate informazioni non richieste urlando e sbracciandosi come oranghi isterici da venti metri di distanza, nonchè attirando con discreto garbo l'attenzione di tutti i presenti in un raggio di 10 chilometri
2) Il tizio in questione forse poi era un’ottima persona, più sveglio e in gamba di me (visto il seguito della narrazione, ci vuole pure poco). Magari era fresco fresco di diploma alla Scuola di Portamento per Sigorine “Contessina Pirimpilla Di Condé, Saint-Honoré e Creme Brulé” con la media del nove in Teoria Dello Chignon, Storia Del Twin-Set e Filologia Della Crema Di Limoncello, nonchè menzione speciale in Tè Delle Cinque e Tisane Rilassanti Alle Erbe. E forse adottava il look “tossico (s)fatto” solamente perchè ne apprezzava il tocco spigliato, fresco e sbarazzino. Però a vederlo non è che presentasse tanto bene, concedetemelo. Insomma, immaginate il nipote sfigato di Ozzy Osborne. Capelli tali e quali lui, voce un po' biascicata evocativa di un tasso alcolico di livello non altissimo ma, diciamo, di un certo prestigio, passo sullo sbilenco-strascicato-andante-dai che ce la fai (forse). Il tipo che se lo incontri la sera gli dai il portamonete prima ancora che abbia tempo di aprir bocca, sulla fiducia, pregandolo di accettare l'umile seppur inadeguato omaggio, e ti scusi pure per l’esiguità del contenuto promettendo un più pingue contributo al rapinoso incontro successivo. Anche se poi in magari in realtà lui non ti aveva manco visto e in quel momento stava pensando ai fatti suoi, che erano cose come che regalo comprare per la Festa della Mamma, se per il tatuaggio fissato per domani da Giggi Er Bestia sia meglio Titti o Gatto Silvestro, e quanto è caruccia l’ultima pubblicità dei Sofficini con quel ramarrino verde tanto simpatico.
3) Soprattutto, dato che prendevo il treno molto spesso, sapevo bene che la sala d’aspetto, in cui lui mi consigliava tanto entusiasticamente di recarmi e ove, in effetti, c’era una macchinetta obliteratrice, era chiusa da tempo, onde evitare la trasformazione della stessa in una piccola ma promettente palestra -sapete: quelle palestronzole di provincia, senza pretese, che sembrano da niente ma poi, SPAFF!, ti sfornano il campione nazionale, che tu passi i cinque anni successivi a ripetere a persone a cui non glie ne può fregare di meno "Io lo conoscevo!"- per giovani promesse del vandalismo locale.
Quindi assumendo un'espressione gentilmente seccata mi volto verso di lui e gli faccio un cenno di sufficenza con la mano; come a dire "Sì, come no: ho capito. Sta bravo, adesso, eh?"; e intanto continuo per la mia strada con il passo deciso di colui che sa il fatto suo.
E lui che continua a sbracciarsi e gridare "NOOOOOO! DENTRO! OOOOH! E' DENTRO! VAI DENTRO! OOOHHHH! UUUUHHHH!!".
Io mi volto ancora verso di lui, ripeto il gesto con la mano, dicendo qualcosa come "Sì, eh; d'accord..."
E qui, ci vuole un bel
Rallenty.
Un secondo.
Forse, di meno.
Avanti adagissimo, quasi fermo.
Lui che, insipegabilmente, all'improvviso e inspiegabilmente, si mette a ridere, mentre mi urla ancora un ultimo, lunghissimo
"NOOOOOOOOOOooooooooooooooooo!!!!!"
E poi
Poi.
Una botta da togliere il fiato.
Così.
Dal nulla.
L'aria che improvvisamente si è chiusa, è diventata più dura del marmo. La sensazione di una roccia che si è materializzata dal nulla con la volontà perfida di occupare esattamente lo spazio che stavi per occupare tu.
Non avete idea del male. E, nello stesso preciso momento, dello spavento: tu cammini tranquillo e a un certo punto -PAFFFF!!!- all'improvviso, il nulla ti assesta una randellata in fronte.
Così forte da lasciarti quasi stordito.
E non dite "casomai non lo fossi già abbastanza prima", che sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.
Poi, capisco.
Non che ci volesse un grande acume, del resto.
Ne' particolari conoscenze.
Il concetto di "pilastro" bastava ampiamente.
Perchè camminando al mio consueto passo cammino-ma-quasi-corro mentre stavo voltata verso il tizio, mi ero andata a stampare testa avanti dritto contro uno dei pilastri della pensilina.
Di legno.
Bello stagionato, anni '20 o giù di lì.
Sezione quadrata.
Ahia.
Forse, inconsciamente, da grande volevo fare l'ariete.
Ci sarei riuscita, direi.
Ma soprattutto, a quel punto ho realizzato cosa stava cercando di dirmi il tizio -per la serie: e chiamalo scemo- con quell'ultimo, accorato (nonchè, ahimè, un tantino divertito)
"NOOOOOOOOOOooooooooooooo!!!!!"
***
Ma il peggio è: cosa fa, uno, a quel punto? Portarsi le mani alla testa, gemendo e dicendo cose altamente dignitose come "Che doloooooore!" sarebbe stata un'opzione discutibile dal punto di vista del contegno, ma moralmente ampiamente giustificata. Accasciarsi con garbo a terra, forse, pure (visto anche lo spavento, che mi aveva fatto beccare un mezzo infarto).
Invece, no: il genio in questione, non volendo dare spettacolo (ulteriore) di fronte alla dozzina di persone che, sull'altro marciapiede, sicuramente ha seguito tutta l'edificante scenetta, grazie al garbo quasi minimale con cui Mister Discrezione 2006 ha attirato l'attenzione sulla sottoscritta e sottolineato con delicatezza, sobrietà e garbata misura lo svolgersi dei fatti; il genio in questione, dicevo, con le ginocchia ancora tremanti, lo stomaco in subbuglio che probabilmente sta cercando di stringersi tutto per poi infilarsi su nell'esofago e squagliarsela via dalla bocca verso più avveduti proprietari, la testa che dice agli altri organi nei dintorni "ragazzi, che dite: si sviene? eh, si sviene?"; il genio, appunto, cosa fa? Assume una assurda, totalmente incredibile nonchè a quel punto PATETICA espressione di nonchalance.
Alla "Palo? Quale palo? Perchè, c'era un palo?".
Dopodichè, un passo indietro, uno di lato, e riprende il suo cammino.
Come se niente fosse.
Sperando che le gambe reggano almeno fino all'angolo dell'edificio; dopodichè, eventualmente, vai con lo svenimento a scoppio ritardato nel più puro Fantozzi-style.
Immagino la scena, vista da fuori: alla "Robottino Rimbalzino - evita gli scalini (beato lui), rimbalza contro gli ostacoli".
Ci mancava solo che facessi "Bip! Bip!"
***
Per la cronaca: oltrepassato l'angolo e scomparsa alla vista del -credo- inorridito pubblico, ho incontrato un mio collega che stava andando a prendere il treno. Per inciso, non esattamente il tipo del salvatore di bionde fanciulle su bianco destriero (lui, non io. Cioè, nè lui nè io, dato che eravamo entrambi appiedati; quindi in effetti manco io avevo un destriero. Cioè... vabbè, lasciamo perdere.). Uno che, se un giorno avessero picchiato quelli simpatici, non solo avrebbe potuto circolare indisturbato, ma qualcuno gli avrebbe pure offerto un chinotto. Ma in quel momento mi ci sono aggrappata -metaforicamente, eh: va be' la botta in testa, ma non fino a quel punto - travolgendolo con cose tipo "Non sai cosa mi è successo!! Mi sono fatta maliiiissimo!!!!" seguito dal racconto concitato della triste vicenda; nonchè "Adesso cammini vicino a me, che io, da sola, in mezzo a quelli là che hanno visto, non ci torno".
Una scena tristissima.
Non vi dico quanto mi ha presa in giro.
Certi uomini non hanno cuore.
***
Ah, dimenticavo: al ritorno (con fronte decorata da bernoccolo rinoceronte style) ho scoperto che, per qualche strano motivo, quel giorno la sala d'aspetto -contenente l'obliteratrice tanto entusiasticamente consigliatami dal tizio- in effetti per qualche assurdo ed insondabile motivo ERA APERTA.
***
Nota - Anni fa andavo in una palestra in cui, per qualche tempo, si allenava Alex Schwazer. Non che ci sia molto da vantarsi, vista la brutta, triste storia di cui si è trovato al centro. Sono cose che ti riempiono di amarezza, fanno male dentro. Il doping, state dicendo? Perchè? Cosa c'entra il doping, scusate?
Parlavo dell'orrida pubblicità del Kinder Pinguì.
In ogni caso, dite, di chi andava nella tua palestra non ce ne potrebbe fregare di meno.
E ve lo avevo detto, no?
***