19 novembre 2015

Stay connected



Pensato a luglio-agosto, messo giù stasera.(*)

(*) La ragazza è veloce, oh



Alloggetto in montagna, piccolissimo e con mobili di recupero, spartani; oggetti ridotti all’essenziale. Ci passerai qualche giorno, o forse molti. E, per una tua dimenticanza, lo devi fare senza neanche un libro. Roba che dopo un paio di giorni hai una crisi d’astinenza da parola stampata che, dopo aver letto per la quinta volta pure gli ingredienti dei sofficini casomai ti fossero sfuggite delle sfumature, tipo i tormentati risvolti psicologici della panatura, sei ridotto in condizioni tali che rimpiangi persino il vecchio libro di inglese di prima media. Che, come lettura, non è che fosse proprio appassionante:


This is a pen. That is a table.


Vabbe’, dai; non lagnarti. Pensa a chi sta peggio di te. Pensa a chi legge Moccia.  
E poi, comunque, era solo questione di pazientare per quattro o cinque pagine. Perché poi, all’improvviso, l’intreccio si infittiva:


This is not a table. This is a chair.


Grazie. Da solo non me ne sarei mai accorto, guarda.


This is not a dog. This is a book
 
Scemo io, che da un’ora sto a lanciargli legnetti aspettando che li riporti.


This is not a book. This is a dog.
 
Ecco perché ringhiava ogni volta che cercavo di sfogliarlo.


This is not your sister. This is a garbage can ...uh, ehm, no: this is actually your sister.



E sei, anche, senza uno straccio di connessione internet. Qui, tra i bricchi e i verdi pascoli, dove le ricerche le fai con Mooooogle e gli acquisti con e-bèèèèèy. Naturalmente il fido smartofono con la cover jelly blupuffa è con te -separartene, quando mai; ma la connessione in zona è del tipo Pidgeon Recommended; nel senso che se mandi un piccione fai prima. Immagino che qui la copertura possa supportare (si noti l’abile giro di parole per dribblare il linguaggio tecnico, di cui non so un picchio) solo un traffico dati limitato. Ma proprio piccino picciò. Insomma: il figlio di quelli che abitano nell’ultima casa su verso la pineta ospita un amichetto per la notte, e tu ti ritrovi disperato a contemplare sul display messaggi di errore e failure assortiti, mentre maceri nell’angoscia al pensiero che in quello stesso momento nella tua fattoria virtuale su Hay Day frotte di fantapolli aspettano inesistenti mangimi, si consumano stragi di pseudoporcelli trascurati e mucche immaginarie muggiscono invano la loro fittizia disperazione.

Figuriamoci poi come funziona, in queste condizioni, il tuo vecchio netbook, processore Lumakòn I (ed ultimo), che pant-pant-eggia pure quando ha a disposizione autostrade di traffico dati ombreggiate da alberate di giga. E dire che l'acquisto, soltanto una o due ere geologiche fa, era avvenuto dopo lunga e ponderata analisi, per due motivi di altissima valenza tecnica. In sostanza, perchè il suddetto era  


   a)      

    in offerta  
  

   e (soprattutto)

b)       
 
    rosa.


Tra l’altro a suo tempo –un paio di anni prima-  era stato pubblicizzato con una certa enfasi, compensiva di slogan “Il netbook che si crede un notebook”. Il computer con crisi d’identità, uao. Il tuo, più che altro, tra obsolescenza, anni di disuso e mancati aggiornamenti, si crede una interessante via di mezzo tra un frullino, un paraspifferi e un gurzo del Borneo.
Insomma, per farla breve: qui tra le vette la parola “ricerca” non evoca scorpacciate di giga, ma l’immagine di un tizio dall'aria smarrita che vaga per le uniche due vie del pese chiamando disperatamente “PINOOOOO!!!! Dove sei???”. O un tale –episodio vero- palesemente preoccupato, che dice a tutti quelli che incontra nella passeggiata lungolago “Scusi, ho perso il cane. Se ne vede uno, le spiace dirgli ‘Ringo?’ Se vede che reagisce, é lui: gli dica con decisione "A casa!": di solito capisce”.



Va da se’, a questo punto, che non hai neanche il televisore. 
Il che non sarebbe un problema, in teoria. Di solito te la tiri pure: “Tv, io? Pfui.” Seee: facile, finchè le sere fuori dalla finestra hanno tonalità di blu accettabili, perbenino, a misura d’uomo; screziate da lampioni e luci delle case vicine. Ma prova ad affrontarne una di quelle con un cielo nero come l’inchiostro, e il buio – non quello addomesticato allontanato negato rimosso da lampioni fari scritte luminose e palliativi assortiti, no: il buio vero, primordiale, assoluto, scuro come il nulla – in agguato un metro fuori dalla porta. Quello che puoi anche avere la luce accesa e non guardare fuori ma in qualche modo LO SENTI, comunque e in ogni momento; sai che c’è ed è tutto intorno e sopra e ovunque, avvolge casa tua come un bozzolo opaco e pesante e ti restituisce improvvisamente e senza mezzi termini la sensazione schiacciante della tua piccolezza; e improvvisamente ti senti così senza difese, così infinitamente solo. Tu prova: e dopo un po’ daresti pure l’ultimo pacco di biscotti del negozio bio senza olio di palma a basso contenuto di grassi in cambio di qualsiasi cosa coloratasonorasemovente in grado di frapporsi tra te e il Nulla tutto intorno, fosse anche una maratona dei Teletubbies commentata da Solfrizzi.




Così ti ritrovi senza schermi tra te ed il tempo da far passare, senza scorza protettiva, per la prima volta da... da? Anni, probabilmente. A spendere lunghe, lente giornate tra una passeggiata tanto per fare, la spesa minimal all’unico negozietto, qualche parola con la ragazzuola alla cassa o la signora anziana dell’alloggio accanto. Ovviamente, ti crolla addosso la noia. Un macigno di noia, che manco Willycoyote. Decidi che basta, domani scendi; e che cavolo. Poi telefoni a qualcuno che è giù in pianura, o ricevi qualche messaggino. Qui fa un caldo folle, dormo con la borsa del ghiaccio nel letto, se sapessi, non si respira... Insomma: alla fine, rimani.
E un po’ per volta, nel vuoto di quel silenzio insolito, arrivano i pensieri. I tuoi pensieri. Che all’inizio, diciamolo, non sono certo una compagnia brillante, o gradevole, o facile.
Anche perché hanno questo brutto modo di fare, i pensieri; che prima mettono il capino fuori timidamente, esitanti, sorpresi da questo gran silenzio improvviso; ma poi prendono sicurezza e allora si allargano, approfittano della situazione, invadono tutto lo spazio, fanno un gran rumore.

E ritrovi ansie, preoccupazioni, paure. La cosa a cui cercavi di non pensare. L'ostacolo che hai evitato di affrontare. Il bisogno represso o negato, per orgoglio o rassegnazione o entrambi. La cicatrice che fingevi scomparsa ma avevi solo nascosto molto bene. Bilanci, naturalmente; ma questo sarebbe il meno, che intanto li fai ogni due per tre. Ma anche prese di coscienza scomode, o pensieri sgradevoli e che non vorresti abitassero dentro di te. Difetti che ti tocca riconoscere, parti di te che non ami o non vorresti o semplicemente sono diverse da quello che di solito spacci per “te stesso” e invece sono lì e non si scappa, o trovi il modo di superarle, davvero e senza trucchi, o ci fai la pace una volta per tutte, semmai tirando giù di una tacca l’opinione che avevi di te e allo stesso tempo capendo che non necessariamente questo ti renderà una persona peggiore, perché un essere umano può essere piú della somma delle sue parti.



E poi.




E poi un giorno, senza motivo apparente, senza che sia successo niente di particolare, ti accorgi che stai bene. Che il frastuono dentro è diventato una voce pacata e i tuoi pensieri, ora, sono una compagnia di volta in volta rivelatrice, sorprendente, amica, riposante, quieta, dolce. E allora, improvvisamente, ti accorgi di essere connesso, come non lo eri da chissà quanto. Connesso con ció che ti circonda. Il silenzio, le foglie sugli alberi, l'ombra del sentiero sotto i pini, i colori del cielo che si riflettono nel lago, questa brezza leggera che ti accarezza la pelle e spettina un po' i capelli.


Ma, soprattutto, connesso con te stesso. Con il tuo cuore, come un amico ritrovato dopo tanto tempo. Forse un po’ stanco e un po’ invecchiato; ma forse, persino, guarda un po', una briciola cresciuto. Forse, in qualche momento di grazia, con quello di qualcun altro. E pazienza se forse l'incontro durerà solo un attimo, luminoso come un riflesso di luce sull'acqua e altrettanto breve, effimero, irripetibile: comunque, è già qualcosa

E' già tanto.


Perchè, adesso, sei piú che mai connesso. 

Con la vita.


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