Anche se le potresti chiamare in molti altri modi. Decisamente più espressivi.
Ma noi qui siamo personcine fini, quindi le chiameremo così.
Oh.
Dunque, in ordine rigorosamente sparso:
1) Grazie della pantegana
La colpa non è mia, ma delle segreterie telefoniche.
La colpa non è delle segreterie telefoniche in generale, ma del malefico BIIIIP! .
Non quello iniziale, un buon BIIIIIIPpone per bene che fa onestamente il suo bippesco mestiere. Che poi, a parlare dopo il suddetto, più o meno siamo capaci tutti.
No: ce l'ho con il suo fratello perfido.
Quello finale.
Il subdolo. Quello che arriva a tradimento. E in genere sceglie il momento esatto in cui sei a metà del concetto principale di tutto il discorso, gasato e lanciato in piena enfasi oratoria, che manco Benigni quando commenta Dante.
Qualche giorno fa volevo riferire all'amministratore del condominio che la sera precedente, attraversando il cortile accanto alle cantine, avevo avuto un simpatico ed istruttivo incontro con un topone enorme, versione Extralarge Prestige Executive Full Optional, recensita sull'ultimo numero di Pantegana Moderna (Per la cronaca, per gli amanti del genere: quattro stelline su cinque. Sul design niente da ridire e apprezzati gli esterni in vera pelle; ma in velocità la coda scarta leggermente a destra). Uno che se incontra un gatto se lo magna, e gli resta ancora un certo languorino (Non proprio fame: piuttosto, voglia di qualcosa di buono. Per esempio, una pantera). Non sono sicura di avergli visto la mantellina blu e rossa con la "S" di SuperRatto, ma mi è parso di sì. E quindi, pur con tutta la stima che posso provare nei confronti del mondo animale in generale e quindi pure dell'animaletto in questione in particolare, azzarderei che sarebbe il caso di chiamare i derattizzatori.
C'era la segreteria telefonica: bene, nessun problema.
Ti pare che mi lascio mettere in difficoltà da una segreteria telefonica?
Pfui.
E me ne sono uscita con questo discorso:
"Sono Tizia. Ieri in cortile ho visto un topo ..." -segue descrizione DETTAGLIATA dello stesso. Compreso un fantastico "sarà stato lungo 15 centimetri solo di corpo, più altrettanti di coda".
Dopodichè ho realizzato che, avendola presa da Adamo ed Eva -avevo omesso giusto gli ultimi aggiornamenti sullo stato di salute della zia del soggetto e la favola preferita dal suddetto nella di lui topesca infanzia- avevo già sprecato un bel tot di tempo prezioso, e quindi dovevo tagliare. E nella fretta di concludere prima del secondo "BIIIIP!" -quello di cui sopra, l'infame- ho condensato la seconda parte del discorso producendomi nel seguente, mirabile sfoggio di capacità di sintesi:
"GRAZIE".
Cioè, riassumiamo:
"Buonasera. Ieri in cortile c'era un topo così e cosà, GRAZIE".
Manco ce lo avesse messo lui (l'amministratore), a mo' di strenna!
Il giorno dopo quasi mi aspettavo che mi telefonasse (l'amministratore, non il topo) per dirmi "Ma prego! Sono contento che abbia apprezzato: l'avevo scelto proprio con cura!"
2) Se vai con l'arrotino, impari a sforbiciare
Successa qualche mese fa.
Avevo portato un paio di forbici ad affilare
in una coltelleria; il cui proprietario, il signor P., tra l'altro conosco di
vista. Due giorni dopo vado a ritirarle. Entro nel negozio e ci trovo, anzichè il signor
P., un ragazzotto, tutto gentile e sorridente. Il giovane e baldo discendente, evidentemente. Gli chiedo le forbici, lui mi domanda il cognome e cerca tra i cartellini delle
varie appese accanto alla mola. Le passa in rassegna velocemente, ma il mio non si trova. Controlla meglio: niente. "E' sicura che ci dovessero essere per oggi?", mi
chiede. Sì sì, sicura sicura. Al che le prende tutte, le mette sul bancone e le
ripassa in rassegna una per una: in effetti, sbuca l'intruso, un paio clandestinamente cartellinoprivo. Possono essere quelle? Be', 'spetti; mo' famo il riconoscimento. Sì, forse sì; però un attimo... Le prendo in
mano per esaminarle meglio, guardo la marca: no. A questo punto, provo a descrivergliele. Sì: come se fosse facile, descrivere un paio di forbici. Tutte di metallo (se non altro escludiamo già quelle rosa di Hello Kitty. E anche quelle tutte verdi a forma di coccodrillo con le lame con i denti, nel caso esistano). Nè grandi nè piccole. Non nuove, però neanche tanto vecchie. Insomma,
più generico di così si muore.
Praticamente gli ho raccontato l'idea platonica di forbice.
L'essenza della forbicità.
L'essenza della forbicità.
Davanti a me, ormai, c'è un affilatore di forbici alquanto perplesso. "Che io abbia sbagliato a mettere i cartellini? Però, mi
sembra strano", si chiede il ragazzuolo, ammettendo l'ombra del dubbio sulla sua stessa professionalità forbiciatoria, fino ad oggi immacolata e scintillante. Intanto io guardo tra i vari esemplari
presenti, cercando di riconoscere le mie, e gli dico che, in effetti,
somigliavano molto ad un paio che vedo lì (tanto per non incasinargli ulteriormente le cose, ma non l'ho fatto apposta, davvero: mi è venuto così). "Eppure qui ho scritto *****" mi dice perplesso, leggendo il nome sull'etichetta "E non credo di essermi
sbagliato, mi sembra proprio di ricordare la persona che le ha portate".
Ma vedo che le sue certezze professionali ed umane, già poste in discussione, stanno ormai vacillando pericolosamente.
Allora, da uomo coraggioso che affronta di petto il destino avverso, prende tre o quattro altre forbici già avvolte in carta di giornale, e disfa gli involti che aveva approntato con cura e forbicesco amore.
"Non è che sono queste?"
Be': a questo punto mi spiace persino, deluderlo.
Si vede, che ci tiene.
Ma non sono quelle.
Nisba.
Niet.
Nein.
"Ma le aveva lasciate in questo negozio?"
E certo, penso: erano forbici da affilare, le portavo dal gelataio? Dal pollitacchinivendolo? Lui insiste: "Proprio in questo negozio?" Piuttosto sorpresa e spiazzata dalla piega surreale che la conversazione sta prendendo, giusto per farlo contento dato che sembra ci tenga tanto, faccio un diligente -per quanto poco convinto- giro su me stessa e mi guardo attorno a 360 gradi -pensandoci ora, probabilmente il tutto deve essere apparso abbastanza ebete- e confermo.
"Ma le ha lasciate a me?"
Ah bene: questa la so.
Su questa vado forte.
"No no: c'era il signor P.".
Ah bene: questa la so.
Su questa vado forte.
"No no: c'era il signor P.".
Con la tranquilla fermezza che solo può vantare colui che custodisce un cuore limpido ed una coscienza immacolata.
Al che il tipo mi guarda in modo strano.
E mi dice:
"La coltelleria P. è venti metri più in su. Io sono G. ".
E (giusto per non infierire) mi indica il pavimento.
Sì, il pavimento.
Sul quale, su una moquette color sangue (forse quello di un cliente rompiscatole che anni addietro aveva fatto perdere dieci minuti reclamando delle forbici che in realtà aveva portato nel negozio della concorrenza; ma preferisco non saperlo), spicca un bel logo giallo stampato a caratteri cubitali che li vedrebbe anche un
orbo distratto voltato di spalle con gli occhi chiusi in una notte di nebbia senza luna:
"COLTELLERIA G."
Ah ecco.
Ah ecco.
***
No, ma, dico: vivo in una cittadina (leggi: paesone) di provincia, con pochissimi tipi di negozi (praticamente ci sono solo banche e agenzie di viaggio e telefoninifici); ma abbiamo due, dico DUE coltellerie a venti metri di distanza???
Comunque il tipo aveva un bel carattere, ha preso la cosa sul ridere (in fin dei conti gli avevo solo fatto perdere dieci minuti mentre aveva un altro cliente in coda, spacchettare svariati incarti da lui fatti con tanta cura e amore, e insinuato sottili ma precisi dubbi circa le sue capacità di gestione di situazioni forbicesche).
E
mi ha pure accompagnata fuori dalla porta per indicarmi, molto gentilmente, dov'è
la coltelleria della concorrenza.
Forse anche perchè, quando subito dopo il riconoscimento dell'equivoco, mi ha chiesto "Ma lei è pratica della cittadina?", gli ho risposto un salomonico "Ehm... Sì e no".
Perchè non mi pareva tanto il caso, a quel punto, di dirgli che
1) ci vivo da quando ci sono nata
2) in particolare, per quella strada ci passo due volte al giorno, da circa otto anni.
3) Anche una bilancia ha le sue esigenze
Un paio di anni fa, altro grande
momento. Di quelli che, nel tempo, ricordi sempre con piacere.
Roba da raccontare ad ipotetici nipotini, con giusto compiacimento e meritato orgoglio.
Supermercato, zona verdure, con la classica bilancia servitevi-da-soli (e-non-fate-i-furbi-a-pesare-con-il-sacchetto-sollevato, che-dalla-cassa-vi-vediamo-benissimo. Anzi-vi-stiamo-già-puntando-come-falchetti. Giusto-perchè-lo-sappiate.).
Avevo comprato quattro banane (shopping prestigioso, oh) e le volevo pesare. Digito diligentemente il numero che la cabala verdurofrutticola supermercatesca associa all'oblungo frutto e attendo fiduciosa.
Ma lo scontrino non esce.
Riprovo: niente.
Ma lo scontrino non esce.
Riprovo: niente.
Intanto è arrivata una signora, che
aspetta dietro di me. Mi volto verso di lei e la coinvolgo nel mio bananesco impasse dicendole, con il tono di una che, nella vita, sa il fatto suo: "Dev'essere finita la carta: ho già
premuto due volte e non esce niente!" Lei si avvicina, solidale -sono momenti difficili, cosa credete- e ritento in sua
presenza. Di nuovo niente: la bilancia, per nulla intimidita dalla presenza di testimoni, persevera nel suo bieco atteggiamento ostile.
Non dà segni di vita.
Non dà segni di vita.
Immota.
Muta.
Scontrinopriva.
La signora solidarizza. Commenta "Eh già,
deve proprio essere finita la carta!". Poi guarda la bilancia, e improvvisamente la vedo perplessa.
La signora, non la bilancia.
E mi dice: "Ma... ma... non ha messo niente sul piatto!"
La signora, non la bilancia.
E mi dice: "Ma... ma... non ha messo niente sul piatto!"
Insomma, il mio bravo
sacchettino con le quattro-banane-quattro...
Ce l'avevo, sì sì.
Certo, che ce l'avevo.
In mano.
***
Ripensandoci, probabilmente era perplessa anche la bilancia.
***
Il numero in coltelleria è fantastico. Io avrei finto di essere un turista, dicendo che l'accento piemontese mi è venuto per via di una malattia rara che ho fatto da piccolo.
RispondiEliminaComunque non è del tutto colpa tua, vorrei sapere chi rilascia le licenze commerciali in municipio, e soprattutto chi tra i due ha aperto il negozio per secondo. Ma forse quella è una zona di gente rissosa. Quindi cambierei pure tragitto per andare al lavoro...
In ogni caso molto divertente, spero che situazioni del genere ti succedano sovente. ciao
Dimenticavo! Anche l'episodio della bilancia mi ha molto divertito. Ti ho immaginata dalla volta successiva a comprare sempre angurie.
RispondiEliminaA presto
Claudio
Fantastico, la bilancia poverina era senza colpa!
RispondiEliminaRiguardo alla coltelleria: non so te ma io cambierei tragitto per un po'
Laura pennydue
si è fatto poi sentire l'amministratore topifero? ^__^
RispondiEliminaMacchè. Sono quasi delusa: lo avevo ringraziato così educatamente per il gradito pensierino... A questo punto, non vorrei che si fosse offeso e saltasse il regalo di Natale: sarebbe un peccato... uno che sceglie dei doni così belli!
Eliminasei sempre bravissima, complimenti!
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