Questo blog sorridente e lieve non è il suo posto, ma ho voglia di condividere un racconto - istantanea che ho ritrovato sul mio pc. Scritto... quando, un anno fa?
non succede niente. Si pensa, e forse si sente qualcosa. Se vi va...
(In quel periodo scrivevo partendo da una fotografia. La guardavo per qualche secondo e poi mi buttavo a scrivere, di getto, spesso senza sapere dove sarei andata a finire). L'immagine, splendida, è della grande fotografa di scena Anna Camerlingo (fortografa di scena, tra l'altro, prediletta dal regista D'Alatri). Molti dei suoi lavori sono visibili nella sua pagina facebook... e sono stupendi.
L’ UOMO DEI SOGNI E DEI CARILLON
L’uomo dei carillon e dei sogni venne a me nella notte. Lo aveva già fatto altre volte, ultimamente. Non era stato necessario, prima, per molti anni. Ma da qualche tempo io iniziavo a dimenticarmi di lui, sempre più a lungo: per questo era lui, adesso, a venire da me. E quella notte ancora venne ad offrirmi i suoi incanti di latta, le sue usurate magie.
Ma ora mi apparivano come trucchi da pochi soldi, di cui vedevo i limiti. Ero lo spettatore che ha visto i fili tesi e gli oggetti nascosti nella manica del prestigiatore, per un attimo appena, ma da quel momento non potrà crederci mai più. Ed ero quasi ansiosa, di non crederci più. Di sbarazzarmi di quei miseri trucchi.
Eppure mi avevano scaldato così tanto il cuore. Avevano reso la mia vita fino ad allora, la mia infanzia, così dolce, priva di ogni dolore. Non conoscevo sofferenza che non svanisse con un abbraccio o una vicinanza. Non c’era paura, allora, dentro di me: accanto ai “grandi” mi sentivo così riparata, protetta, sicura. Nulla di brutto mi poteva toccare, quando ero accanto a loro. Loro erano roccia e sponda, rifugio e approdo; loro stessi erano immuni da ferite e oltraggi della vita. Non c’era dolore che li avrebbe potuti toccare. E se, allora, avessi conosciuto il Tempo, avrei saputo con certezza che loro sarebbero stati eterni.
Ma quella notte, quando l’uomo degli incanti venne nel buio, illuminato da una candela che reggeva in mano, io lo guardai come se lo vedessi per la prima volta: e il suo viso mi parve quello di un vecchio. Senza magia né incanto. Di un misero, patetico imbonitore da fiera con le sue cianfrusaglie senza valore. Mi rivolgeva uno sguardo sospeso, interrogativo. Si stava chiedendo cosa mi era successo, se gli interessavo ancora, se ero cambiata. Se -lo capisco solo ora- anche io lo stavo per abbandonare, come infiniti altri prima di me. Se stavo per respingere i suoi dolci, lievi doni per inseguire altre illusioni, ben più ingannevoli e crudeli. Probabilmente avrebbe voluto domandarmelo ma non osava, o temeva la risposta. Lo sguardo arrivava a increspargli la fronte in solchi di incertezza, eppure taceva. Io guardai ciò che aveva con sé, ciò che mi offriva con la mano in cui non reggeva la candela, e gli dissi “non vedi? Sono cresciuta. Non voglio più i tuoi trucchi. Sono grande, ormai. Voglio andare avanti, voglio diventare adulta. Voglio la realtà, non i tuoi veli”.
Il volto dell’uomo della neve a Natale e dello stupore, l’uomo degli abbracci che chiudevano fuori il mondo e del caldo sotto le coperte d’inverno, cambiò. Capii che le parole che avevo pronunciato erano esattamente quelle che aveva temuto. Quelle che aveva sperato di non sentire. Dagli occhi scomparve quello sguardo che aspettava una mia risposta, mentre qualcosa nel suo viso si scioglieva come ghiaccio al sole e mentre scivolava via ciò che rimaneva era un altro viso che non avevo mai visto, una maschera di tristezza tanto vicina al dolore. Un dolore antico, pensai per un attimo, che pareva il ripetersi amaro ma non ancora rassegnato di una ferita già subita, sopportata, patita mille volte. Mi fissò in silenzio, per un lungo istante, mentre dal suo viso così cambiato stillava quella sofferenza che, anche se finsi di non saperlo lo sentivo, andava ad aggiungersi ad un abisso di sofferenze simili a quella. Di respingimenti, di abbandoni. Di tradimenti.
Esibì ancora alcuni suoi dolci, amati trucchi. Senza più sicurezza, con la fragilità incerta e patetica, la vulnerabilità dolorosa e triste di chi sa già che è tutto inutile, che verrà respinto. Ma io volevo andare avanti, io ero ansiosa di crescere, ubriaca di promesse e menzogne; e non ebbi per loro nemmeno uno sguardo.
E allora, sconsolato, mi disse soltanto “Se un giorno mi vorrai ancora, se avrai bisogno di me, pronuncia il mio nome”.
E se ne andò, nella solitudine di chi è stato tradito.
Sono cresciuta, adesso.
Ho visto la vita senza i veli
d’argento, la vita com’era veramente. Ho vissuto lontana dai lievi,
scintillanti incanti con cui l’uomo dei sogni e dell’infanzia mi aveva protetta
dal mondo. Tanto, troppo lontana.
E adesso, Dio, quanto li rimpiango.
Il mio mondo è andato a pezzi. La
magia, la bellezza, la poesia. Quella felicità piena, assoluta; il vivere senza
ombre né paure.
Non era vero che la vita era bella. Non era vero che ero al sicuro.
Ho perso tutte le persone che facevano parte di quel mondo, che avevano reso la
mia infanzia un luogo meraviglioso. Tutte.
Non era vero che “i grandi” non potevano soffrire. Non era vero - li ho visti piegati, straziati, devastati. Non era vero – li ho visti in lacrime per il dolore. Non era vero - li ho visti chiedere aiuto a me, a me che una volta ero la loro bambina, che una volta ero colei che proteggevano e rassicuravano. A me che non potevo fare nulla, nulla, nulla.
Non era vero, non era vero, non era vero…
E adesso, spezzata, in ginocchio con i pugni serrati e le unghie infisse nei palmi fino a sanguinare, sabbia e sul viso e fango nei capelli, quanto darei per gridare il suo nome. Per chiedergli ancora di vivere racchiusa nella sua scatola magica. Per non sentire le ferite da cui sgorga il sangue e non riesco più a fermarlo. Per ritrovare le persone, la dolcezza di vivere, il mondo intero che ho perduto. Per supplicarlo.
Almeno per un giorno.
Almeno per un’ora.
Per cullare il dolore nel suono del suo carillon, fino a dimenticarlo, quel dolore. Fino a dimenticare che esiste il dolore. Fino a dimenticarmi. Mentre, bambina assonnata, con le palpebre che vogliono chiudersi per il sonno, cerco di tenere gli occhi aperti ancora per un minuto per guardare le ombre delle figurine di una giostra giocattolo danzare sui muri.
Quanto vorrei, adesso, invocare il suo nome…
Ma non lo ricordo più.
***
Uomo dei carillon e dei sogni
Vieni di nuovo da me
Portami al castello degli incanti
e delle lucciole nelle sere d’estate
Restituiscimi il mondo degli alberi di Natale
uomo dell’infanzia e della magia
portami nel mondo dello stupore
portami ancora in quel luogo
in cui non esisteva il dolore
in cui la vita era un abbraccio
Ora nelle mie notti
fantasmi insonni danzano a passi pesanti
nell’ombra dei muri
e il buio è un abisso…
Restituiscim un carillon ed un sogno
Torna da me
Incanto, infanzia
Lontana magia
mondo che ho perso…
Per sempre